I grafici, il dito, e la luna
Allora, anche se non lo dico spesso, io sono uno dei consiglieri nazionali dell'AIAP.
Che sarebbe l'Associazione Italiana Progettisti Grafici.
No. Associazione Italiana Progettisti A... Aaa…
Mhh. Me lo scordo sempre.
No, via. Ricominciamo.
Sebbene molti non lo sappiano io sarei bla bla uno dei consiglieri nazionali dell'Associazione Italiana Progettazione per la Comunicazione Visiva, che però non si chiama AIPCV perché
1) AICPV è un acronimo veramente orribile e
2) quando è nata, nel 1945, AIAP voleva dire Associazione Italiana Artisti Pubblicitari, come dire i cartellonisti, quelli che facevano i disegni per la pubblicità.
In tempi in cui i lavori avevano un nome facile: c'erano l'idraulico, l'imbianchino, e il cartellonista.
Invece adesso, se mi chiedono che lavoro faccio, non è facile per niente.
Se dico che faccio il progettista di comunicazione visuale casomai non sbaglio, però non capisce nessuno.
Se dico che faccio il grafico, tutti invece capiscono.
E e dicono: "Aah, anche io uso Photoshop".
Oppure posso dire che mi occupo di social media strategies e user interaction sul web.
"Cioè? Fai siti web?"
Sì, faccio anche i siti.
E dicono: "Anche io faccio i siti. Con Dreamweaver!"
Non so se è chiaro il problema.
Ho il problema di fare un lavoro che è difficile da spiegare. Così tanto che, per la legge, non esiste, figuratevi.
E tre giorni fa ero con altre 65 persone che fanno il medesimo lavoro che non esiste ad un'assemblea molto importante di AIAP, che aveva lo scopo di votare un nuovo statuto ed un regolamento per l'associazione.
C'erano anche 55 soci presenti virtualmente in delega, ovvero sotto forma di fotocopia da alzare insieme alla mano durante le votazioni.
Quindi per ricapitolare: 65 soci veri e 55 virtuali a votare il nuovo statuto dell'AIAP.
Per capirci meglio: c'erano da decidere un po' di questioni importanti - perché come ha fatto intelligentemente notare Alberto Lecaldano, direttore della rivista Progetto Grafico che di AIAP costituisce un po' la punta di diamante editoriale, "la nostra Associazione è cambiata negli ultimi 20 anni".
Una questione apparentemente formale ma sostanzialmente importante era quella di scegliere una nuova denominazione per l'associazione. Visto che intanto l'acronimo non vuol dire più nulla, qualcuno aveva proposto di tenerlo, ma cambiare la dizione "Associazione Italiana Progettazione per la Comunicazione Visiva" e accorciarla in: "Associazione Italiana Designer di Comunicazione".
Come a dire: l'associazione di quelli che fanno design di comunicazione, così come ci sono i designer di interni, i fashion designer e i designer di prodotto.
In questo modo, si poteva sottolineare che la nostra è un'associazione di persone, di professionisti che fanno un lavoro che esiste, benché abbia un nome un po' strano e un'acronimo spaiato.
Casomai, diceva la nostra presidente Daniela Piscitelli, che alla nostra Associazione ci si dedica anima e core (e infatti è partenopea, almeno tanto quanto la vicepresidente Cinzia Ferrara è siciliana e il segretario Massimo Porcedda ligure nato in Sardegna e io toscano nato a Roma, sebbene tutti si lamentino che AIAP sia troppo milanese - ma questa è un'altra storia), casomai questo poteva essere anche utile ad ottenere una cosa chiamata Riconoscimento Giuridico dell'Associazione che potrebbe portare in un lontano futuro anche al Riconoscimento Della Professione, tutte cose molto complicate ed ipotetiche che avrebbero lo scopo di allontanare il lavoro che facciamo dal pericoloso campo minato dei Lavori Che Non Esistono e che quindi sono privi di partita Iva, di Previdenza e di tante altre cose che i Lavori Normali hanno.
Ora, la frase qui sopra è lunga, ed è un sunto.
Figuratevi quanto è stata divertente st'assemblea.
C'era da discutere questi tre o quattro argomentini qui (più un'ulteriore bazzecola) e di votare il nuovo statuto tramite alzata di mano.
Con fotocopia per i presenti virtuali.
E sai quante votazioni ad alzata di mano sono state fatte? Quarantatré.
Per - attenzione - approvare solo lo statuto, che il regolamento dopo due giorni di lavoro e alzate di mano e discussioni chi aveva più la forza d'affrontarlo?
Inoltre, c'era l'ulteriore bazzecola.
La Delegazione Regionale del Lazio aveva avanzato richiesta di autonomia amministrativa e giuridica.
Una necessità tecnica per alcuni, il segno d'un desiderio federalista e scissionista per altri - in ogni caso un argomento delicato importante da discutere. Bisogna precisare, tra l'altro, che lo statuto Aiap su questa faccenda è piuttosto oscuro, e quindi andava votato un nuovo articolo al posto di quello attuale. Per farlo ci sono volute 4 delle 43 alzate di mano e 3 ore.
Ora, va anche aggiunto che una apposita commissione aveva lavorato alle modifiche dello statuto per quasi un anno.
Raccogliendo i pareri dei soci e stilando una scaletta di proposte da votare.
Che erano un po' meno di 43.
Però, su certe cose bisogna essere più realisti del re.
Mica si cambia tutti i giorni uno statuto (l'AIAP il suo lo aveva cambiato dodici anni fa l'ultima volta).
Quindi, niente scaletta, e giù votazioni punto per punto.
Arrivati insomma, dopo sole due ore, al secondo punto, s'inciampa subito nel cambio di nome.
Poiché si sa, le parole sono importanti. E cambiare il nome vuol dire tante cose.
Ad esempio, decidere se la nostra associazione si occupa più della professione o della cultura della professione. Ricordandosi, nel secondo caso, che cultura della professione vuol dire anche insegnamento e formazione.
Aspetta: parliamo di formazione di un mestiere inesistente nel nostro sistema universitario?
Immaginatevi il divertimento.
(Per intenderci: il nostro mestiere è così incasinato da imparare e insegnare che non esiste una laurea in graphic design. Però c'è un corso a fascicoli della De Agostini. E c'è anche chi ha paura che chi lo legge ci possa rubare il lavoro.)
Mi seguite?
Non è facile.
E infatti le votazioni dell'assemblea sono state una bella faticata.
Cioè, intendiamoci. Lo statuto è stato approvato praticamente all'unanimità.
Diciamocelo, un successo.
Anche se molte questioni rimangono aperte. Per esempio, è stata votata una denominazione che pone l'accento sull'ambito culturale e sulla disciplina piuttosto che sui professionisti.
L'AIAP da oggi sarà "Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva".
Accento sulla cultura della professione, quindi? Vedremo: tra chi vorrebbe AIAP come un Albo Professionale e chi la vorrebbe come una Fondazione Culturale, le sfumature sono tante. Così come tante sono le possibilità intermedie tra chi vede un AIAP come federazione di associazioni (in stile ADI, nell'ottica appassionata dei soci della delegazione Lazio) e chi ha candidamente espresso il desiderio di un'associazione nazionale forte, ed il timore di una scissione interna - la maggioranza, a giudicare dagli applausi a scena aperta seguiti all'intervento del socio senese Andrea Innocenti. E alla fine, la spinosa autonomia amministrativa delle delegazioni regionali, quella che nello statuto non era spiegata bene, è stata "rimandata a settembre" ed affidata ad un'apposita commissione.
Insomma: è stata un'assemblea difficile, come non facile è la situazione della professione del grafico, del progettista, del designer di comunicazione in Italia oggi.
Le questioni non erano facili.
La professione è in continuo cambiamento.
C'è la crisi.
Ma alla fine, la nostra assemblea di grafici designer di comunicazione ha portato a casa, grazie anche al sapiente nocchiero Pieracini, un nuovo statuto, più giusto e sensato.
Si poteva volere di più?
Forse sì.
Guardare un po' più in alto.
Ma casomai, anche chi vuole la Luna deve cominciare dalla punta delle dita.
Contando, per quarantatré volte di seguito.
[ Disclaimer: questo articolo costituisce un personalissimo e assolutamente non autorizzato tentativo di spiegare/spiegarsi la complessità dell'AIAP e dell'assemblea romana. I punti di vista espressi non sono necessariamente condivisi dal consiglio direttivo di cui faccio parte, ne' dall'associazione medesima. Le critiche e i pareri sono ben accetti. ]